
Angelo Jonas Imperiale propone a noi tutti una riflessione sul ruolo che le scienze sociali potrebbero giocare nel complicato processo di riforma collegato al Piano “Casa Italia”, recentemente proposto dal governo. Una riforma radicale dell’abitare gli Appennini è oggi più che mai necessaria, per fronteggiare quella può essere definita ”Emergenza Appennini”, soprattutto in seguito al drammatico terremoto del 24 Agosto, che ha colpito i territori dei due parchi nazionali Monti Sibillini e Gran Sasso-Monti della Laga.
I rischi che caratterizzano questi territori non sono solo fisici e naturali. Sono soprattutto sociali. I rischi fisici e naturali sono indotti da vulnerabilità sociali, istituzionali e politico-economiche. Sono le concause cruciali dei disastri, sempre più frequenti.
Il verificarsi dei disastri è il risultato combinato di un’esposizione al pericolo, di preesistenti e inerenti vulnerabilità, di insufficienti capacità di gestione. Non potrà esservi piano di riduzione dei rischi di disastri, né riforma radicale dell’abitare gli Appennini, se non vi sarà un’analisi delle vulnerabilità sociali che caratterizzano questi territori, e dei rischi a queste associati.
Occorre sviluppare strategie di mitigazione delle vulnerabilità e dei rischi esistenti, strategie di minimizzazione dei possibili impatti negativi e di massimizzazione dei benefici di ogni intervento pianificato. Questo processo di analisi e gestione delle questioni sociali più rilevanti, negli interventi di riforma dell’abitare gli Appennini, deve essere portato avanti e condiviso con le comunità locali che hanno vissuto e vivono in prima linea le conseguenze disastrose delle inefficienze di pianificazione e di gestione degli interventi.
La Valutazione di Impatto Sociale (SIA) è quella disciplina scientifica che include i processi di analisi e gestione delle questioni sociali. Può e deve essere applicata anche a tutti quegli interventi pianificati che saranno inclusi nel nuovo piano nazionale “Casa Italia” e che saranno rivolti alla riduzione dei rischi. Se portata avanti con efficienza, la SIA può migliorare, a livello locale, i risultati di sviluppo sociale connessi ad ogni intervento previsto dal piano Casa Italia, di prevenzione, ricostruzione o sviluppo in aree vulnerabili o colpite da disastri, rafforzando la resilienza delle comunità locali, che vivono questi territori.
Introdurre questa metodologia all’interno del Piano Casa Italia sarà fondamentale per mitigare quei rischi e quegli impatti, che precedenti finanziamenti post-sisma hanno paradossalmente incrementato.
Sulla necessità di una Riforma radicale dell’Abitare e di un manifesto per le Comunità degli Appennini.
– Quale possibile ruolo per le scienze sociali? –
di Angelo Jonas Imperiale
Nell’Italia interna, nell’Italia dell’Appennino, è necessaria una RIFORMA RADICALE DELL’ABITARE che si accompagni a un MANIFESTO A PROTEZIONE DELLE COMUNITA’ DEGLI APPENNINI che abbia come assoluta priorità il principio di RIDUZIONE DEL RISCHIO DI DISASTRI e un’attenta valutazione degli impatti sociali perché:
1) ci si adoperi per aumentare tra le comunità locali la consapevolezza dei rischi ambientali, sociali, fisici, economici e culturali, e dei problemi comuni a questi associati e delle possibili strategie condivise di mitigazione. Le comunità locali vivono questi luoghi e sono in prima linea a fronteggiare gli impatti causati da questi rischi e vulnerabilità;
2) si riconoscano le percezioni delle comunità locali rispetto a interventi passati presenti e futuri; si ascoltino dalle comunità che vivono in prima linea rischi e vulnerabilità, i principali impatti vissuti dalle persone del posto e legati alle specificità dei territori e delle culture materiali e immateriali locali. Riconoscere quali sono i principali bisogni e desideri, e quali capacità locali già stanno lavorando in questa direzione;
3) si coinvolgano queste capacità locali e le risorse endogene del territorio in cui si interviene nelle fasi esecutive del processo di riforma radicale dell’abitare; si faccia in modo che questo processo sia prima di tutto un processo sociale e culturale in cui sono le comunità locali stesse, quelle che vivono in prima linea gli impatti, a sentirsi protagoniste del cambiamento; si eviti che élite locali corrotte e speculatrici e un’economia solo di “tipo estrattivo” catturino e governino questo processo; si abbattano i costi coinvolgendo donne e uomini del posto; si utilizzino risorse e materiali locali (local content); si coinvolgano la fasce più deboli, si rivalorizzino e si preservino le sorgenti d’acqua, si utilizzi il legno -di cui i boschi dell’Appennino sono ricchi- in maniera massiccia, alleggerendo le strutture portanti e i solai, preservando incastonate, al contempo, alcune delle pietre storiche di ogni singola abitazione – segni identitari di questi luoghi -.
Intorno a questo impiego massiccio del legno possono attivarsi nuove reti che curino il territorio, ne facilitino la manutenzione capillare e si adoperino nella mitigazione dei rischi di dissesto idrogeologico. In questo senso, il ruolo rinnovato dei Parchi, un ruolo attivo nel COINVOLGERE e PROTEGGERE le COMUNITA’ che VIVONO NELLE AREE PROTETTE, può essere fondamentale. Queste nuove reti che nascono intorno a una visione rinnovata di cura del territorio diffusa e capillare, vanno supportate istituzionalmente, ripensando in modo radicale il sistema dei servizi e dei trasporti: basta strade che taglino fuori e a metà i territori senza rispetto e senza cura.
Occorre costruire in modo sostenibile strade che facilitino gli accessi ai luoghi più remoti e supportino i servizi di tutela attiva e di cura del territorio perché l’intera catena produttiva associata alla riforma dell’abitare sia adeguatamente supportata.
Accanto a queste nuove reti potrebbero associarsene di nuove, che ripensino in chiave diversa il sistema dei trasporti (mezzi elettrici e a basso impatto) e dei servizi pubblici da costruire in modo capillare e diffuso. Insieme alla formazione di nuove attività e nuove reti, vanno coinvolte quelle aziende agricole esistenti il cui lavoro assume ancora più rilevanza perchè si viene loro riconosciuto il ruolo della cura attiva del territorio. Riconoscere il ruolo dei pastori locali, come custodi delle montagne dell’Appennino in questo senso è dirimente.
Lo sforzo in questa visione dovrebbe essere internazionale, e il turismo esperienziale, quello sostenibile, andrebbe organizzato in modo che si renda parte attiva del processo virtuoso di cambiamento a livello locale. Le istituzioni di tutela internazionali è importante concorrano alla realizzazione di questa riforma radicale dell’abitare gli Appenini.
4) Si rafforzino, infine, le capacità locali a tutti i livelli: dal fare rete tra imprenditori, associazioni del mondo civile, ai più alti livelli -così rinnovati- di governance del territorio, dei rischi e delle vulnerabilità sociali, ambientali, istituzionali e politico-economici che lo caratterizzano. Questo rafforzamento non può che passare dal fornire nuovi strumenti decisionali che abbattano gli spettri degli ultimi 30 anni di strascichi di un vecchio sistema legato a tangentopoli. Questi nuovi strumenti dovrebbero implicare, in modo diffuso, la realizzazione di nuovi contratti di rete e contratti di comunità che prevedano trasparenza, rendano conto dei soldi spesi e delle azioni fatte, facilitino un maggiore controllo da parte della popolazione civile sulle iniziative pubbliche e private.
Questo “controllo della popolazione civile” è necessario, ma bisogna costruirlo proprio al punto uno: non vi è controllo delle popolazione se alla base non vi è aumento della consapevolezza sociale dei rischi, delle vulnerabilità e dei problemi comuni.
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