
Un processo decisionale basato sul rischio nei progetti con impatti sulla salute legati all’ambiente. Uno strumento a supporto della Partecipazione Pubblica
di Maria Alejandra Guglielmetti
Introduzione
La necessità di introdurre processi decisionali basati sul rischio, specialmente nell’ambito di iniziative, progetti o grandi opere pubbliche con potenziale impatto ambientale e sulla salute delle persone, nasce dalla considerazione che i rischi sono presenti in ogni attività ed in particolare in quelle che comportano delle scelte. Occorre, quindi, essere in grado di governarli, ossia di identificarli, misurarli, gestirli e monitorarli.
Il governo dei rischi è normalmente in carico all’ente che progetta, sviluppa e implementa le iniziative ed è ritenuto un processo squisitamente tecnico affidato a specialisti, spesso senza fare grandi sforzi per comunicare all’esterno né i rischi identificati né il processo decisionale adottato.
L’esigenza di coinvolgere le parti interessate e le popolazioni impattate nel processo di gestione dei rischi di tutti i progetti o iniziative con potenziale impatto sulla salute delle persone legato all’ambiente è nata e si è sviluppata soprattutto negli Stati Uniti, introducendo anche la necessità di considerare l’intera gamma di rischi che potrebbero impattare i cittadini, con riferimento ai loro valori, alle loro preferenze e alla loro conoscenza del territorio.
Tale esigenza nasce dalla presa di coscienza progressiva che i problemi sulla salute delle persone legati all’ambiente sono molto più complicati, controversi e costosi da risolvere di quanto si pensasse e che la trasparenza, la partecipazione pubblica e la collaborazione possono migliorare i processi decisionali riducendo i conflitti e contenere i rischi migliorando la qualità della vita delle persone.
Questo articolo illustra brevemente l’evoluzione della Partecipazione Pubblica negli Stati Uniti d’America, con riferimento all’introduzione di processi decisionali basati sul rischio, con il doppio obiettivo di evidenziare le lezioni tratte e delineare un’ipotesi di percorso per la gestione dei rifiuti radioattivi in Italia.
Brevissima lunga storia dell’evoluzione della Partecipazione Pubblica negli Stati Uniti d’America nella gestione dei rischi per la salute legati all’ambiente
Ripercorrere la storia è importante perché sottolinea almeno quattro elementi che richiamano lezioni tratte da altre esperienze di partecipazione (per alcuni aspetti anche l’esperienza di Bilancio Partecipativo di Porto Alegre nel 1989, che ha fatto scuola, diffondendosi in vari continenti a partire degli anni 2000, anche se con caratteristiche diverse): la costruzione di un quadro istituzionale di riferimento richiede la volontà politica di creare elevati livelli di trasparenza, partecipazione pubblica e collaborazione; la partecipazione pubblica nei processi decisionali, specialmente con riferimento alla gestione dei rischi per la salute legati all’ambiente, è una necessità determinata da costi sociali crescenti, causati spesso da scelte squisitamente tecniche e/o da politiche sbagliate; i processi decisionali devono tener conto dell’intera gamma di rischi (tecnici, sociali, culturali, economici, ecc.); metodi e tecniche devono evolversi sfruttando le esperienze acquisite sia nei casi di successo che di insuccesso.
La Partecipazione Pubblica si è sviluppata con alti e bassi ed ha subito un freno significativo durante l’amministrazione Trump. Tuttavia, non si possono eliminare quattro decenni di esperienza e si spera che l’attuale amministrazione dia di nuovo voce ai pubblici, ricostruendo il quadro istituzionale.
Processo di costruzione del quadro istituzionale
Negli Stati Uniti d’America, la Partecipazione Pubblica sulle tematiche ambientali è stata istituzionalizzata nel 1946 con l’APA (Administrative Procedure Act), che definì requisiti e procedure di accesso alla documentazione da parte del pubblico. Soltanto 20 anni dopo, il NEPA (National Environmental Policy Act) ha richiesto alle agenzie federali di garantire l’accesso tempestivo all’informazione e il diritto del/dei pubblici di essere ascoltati prima di prendere una decisione (l’accesso alla documentazione non è ritenuto sufficiente, occorre garantire uno sforzo di comunicazione di contenuti complessi in un linguaggio accessibile a tutti i pubblici). Nel 1972, il Federal Committee Act (FACA) ha imposto degli standard e delle procedure per assicurare che i comitati consultivi federali servissero interessi pubblici piuttosto che privati. Nel 1978, il Council on Environmental Quality (CEQ) ha ampliato i requisiti del NEPA obbligando le agenzie federali ad accertare quali questioni il pubblico ritenesse importanti, come parte del processo iniziale di scoping dei progetti/iniziative per le valutazioni di impatto ambientale.
I processi di Partecipazione Pubblica nella gestione dei rischi saranno introdotti molto dopo, nel 1996. In primo luogo, perché la gestione del rischio nei processi decisionali federali è stata istituita per la prima volta nel 1983, attraverso la pubblicazione del report “Risk Assessment in the Federal Government: Managing the Process” da parte del National Research Council (NCR). In secondo luogo, perché soltanto l’esperienza portò a mettere in evidenza la necessità di coinvolgere stakeholder e pubblici impattati da iniziative con impatto ambientale.
A partire dal 1983, approcci e metodologie di gestione del rischio si sono enormemente evoluti grazie sia alla ricerca sia alla sempre maggior disponibilità di dati. È importante tener presente che tale processo di conoscenza continua si autoalimenta: maggiore è il volume di dati e maggiore è la capacità di analisi e, quindi, cresce la consapevolezza sulla complessità dei rischi per la salute legati all’ambiente, facendo nascere nuove esigenze di dati, metodi e cosi via.
Ad un certo punto di questi due percorsi, Partecipazione Pubblica e Gestione del rischio si sono incrociati, questo perché molti progetti fallirono (Seveso, Times Beach, Love Canal, and Three Mile Island, citati in “Four decades of public participation in risk decision making” Thomas Webler, Seth Tuler_ Risk Analyis_ 2019) provocando una perdita di fiducia progressiva della collettività nelle istituzioni. Fu, quindi, sempre più chiaro al NRC che le procedure legislative non potevano più basarsi esclusivamente sull’expertise tecnica. Occorreva migliorare la qualità, la legittimità nonché la capacità di prendere decisioni, tenendo conto dell’intera gamma di rischi, e lo si poteva fare soltanto attraverso il coinvolgimento degli stakeholder e del/dei pubblici.
Nel 1983, il primo Report, chiamato Red Report, definì una parte rilevante dell’impianto del processo di gestione dei rischi (identificazione, misurazione, caratterizzazione dei rischi) e contribuì a chiarire le interconnessioni tra ricerca scientifica, valutazione e gestione del rischio nei processi decisionali. Tuttavia, il report non includeva la Partecipazione Pubblica.
Soltanto nel 1996, il NRC pubblica un nuovo report, chiamato Silver Report, che rivede a fondo l’approccio adottato fino a quella data. In particolare, sostiene con forza che un’ampia partecipazione pubblica nella valutazione dei rischi costituisce un fattore determinante a garanzia di processi decisionali validi ed accettabili.
Le motivazioni a supporto del nuovo approccio proposto, confermate nel corso del tempo, sono sostanzialmente le seguenti: chi governa deve ottenere il consenso dei cittadini; la valutazione dei rischi affidata esclusivamente a scienziati, specialisti e funzionari pubblici non fornisce sufficienti conoscenze a supporto dei processi decisionali; i pubblici e gli individui possono contribuire a tali processi fornendo informazioni e intuizioni pratiche; la partecipazione pubblica può contribuire ad aumentare l’accettazione e la fiducia nelle decisioni e, quindi, nelle istituzioni.
Nel 1997, un nuovo report pubblicato dal Presidential/Congressional Commission on Risk Assessment and Risk Management (PCCRARM) introduce un nuovo modello concettuale e propone delle linee guida per il coinvolgimento dei pubblici nei processi decisionali basati sul rischio. Il nuovo modello si scompone in sei principali fasi: definire il problema; analizzare i rischi associati al problema; prendere in esame le possibili opzioni per mitigare i rischi; decidere quali opzioni implementare; attuare le decisioni; monitorare e valutare le azioni intraprese. Ciascuna fase del nuovo modello, a partire dalla definizione del problema, deve essere effettuata con la collaborazione dei pubblici (in qualità di partner) affinché vengano presi in considerazione diversi punti di vista, valori, percezioni.
Nel 2009, il NCR pubblica un nuovo report contenente raccomandazioni tecnico-scientifiche di concetti e pratiche di gestione dei rischi indirizzato all’Environmental Protection Agency (EPA), nell’ambito del quale ribadisce quanto espresso nel 1996 sulla centralità della Partecipazione Pubblica.
Su queste basi, le istituzioni hanno continuato a rivedere e a sviluppare nuove pratiche. Purtroppo, durante l’amministrazione Trump si è cercato in tutti i modi di esentare i principali progetti infrastrutturali dalle revisioni ambientali, limitando le opportunità del pubblico di fornire input. Si è fatto tutto il possibile per minare le leggi sulla trasparenza, eliminare i periodi per i commenti pubblici, sospendere i comitati consultivi pubblici e creare scappatoie per aggirare le revisioni ambientali.
È importante evidenziare che una nuova amministrazione può provare e riuscire a distruggere quattro decenni di sforzi di costruzione di un quadro istituzionale solido. Ai fini del presente documento si farà riferimento al periodo precedente a Trump.
Lezioni tratte dalla messa in pratica della Partecipazione Pubblica nella gestione dei rischi
L’avvio della costruzione del quadro istituzionale diede il via a esperti di rischio, scienziati, parti interessate, professionisti e autorità di regolamentazione, che hanno sperimentato processi partecipativi sempre più strutturati. Molti studiosi iniziarono a documentare i casi di successo e insuccesso nonché a fornire contributi per migliorare metodi e procedure e non si sono fermati.
Tuttavia, una delle pubblicazioni più recenti (Four decades of public participation in risk decision making” Thomas Webler, Seth Tuler_ Risk Analyis_ 2019) che prova a descrivere l’evoluzione della Partecipazione Pubblica nella gestione dei rischi rileva che sono veramente pochi gli studi che ripercorrono in modo sistematico quattro decenni di esperienze. Faremo, quindi, essenzialmente riferimento a quest’ultimo documento per evidenziare le principali lezioni tratte dalle esperienze americane.
Per chi è interessato ad approfondire, ci sembra importante segnalare la esperienza del Dipartimento di Energia (DOE) . Il DOE ha anticipato le proposte del NCR sul ruolo della Partecipazione Pubblica, organizzando nel 1994 un workshop volto a rilevare sfide, difficoltà ed opportunità di tale processo e il materiale, ricco di spunti e di indirizzi metodologici, è ancora disponibile. Inoltre, nel 2003, ha richiesto una valutazione approfondita, sito per sito, degli obiettivi e dell’efficacia dei programmi di Partecipazione Pubblica che ha messo in evidenza, tra moltissimi altri aspetti, quanto i metodi e le tecniche di coinvolgimento dei pubblici siano legati alle specificità socio-culturali di ciascun territorio.
Prima di esporre le principali lezioni tratte dall’esperienza, è opportuno condividere alcuni concetti di base sul processo di gestione dei rischi.
Brevi cenni metodologici sulla gestione dei rischi
La letteratura propone numerose definizioni di rischio, tra le quali:
- Eventualità di subire un danno connessa a circostanze più o meno prevedibili (è quindi più tenue e meno certo che pericolo).
- E’ un concetto probabilistico, è la probabilità che accada un certo evento capace di causare un danno alle persone. La nozione di rischio implica l’esistenza di una sorgente di pericolo e delle possibilità che essa si trasformi in un danno.
Il NCR, invece, propone una definizione mirata: minacce alla salute umana, alla proprietà, alla natura, alle credenze, alle istituzioni sociali e alle pratiche culturali.
Occorre tener presente che ciascun progetto è potenzialmente esposto a una tassonomia specifica di rischi, formata da macro categorie, ad esempio: rischi fisici, chimici, biologici, culturali, sociali. Ciascuna macro categoria deve essere scomposta in sotto categorie fino a quando la descrizione diventi comprensibile ai pubblici e il livello di granularità sia ritenuto sufficiente ai fini della valutazione (i livelli di scomposizione possono essere ritenuti adeguati se: la descrizione dei rischi è comprensibile a tutti i pubblici e raccoglie valori, percezioni, esperienze; è sufficiente a misurarli).
Per “processo decisionale basato sul rischio” si intende un’ampia gamma di attività politiche e decisionali pubbliche e private per affrontare rischi/ minacce (Op.cit Thomas Webler, Seth Tuler_ Risk Analyis_2019).
Per poter prendere decisioni basate sul rischio, occorre, in primo luogo, definire il problema che si intende affrontare, analizzare il contesto ed esprimere le preferenze di rischio con riferimento a valori etici, culturali e/o sociali del territorio impattato. Su queste basi, si può procedere con la definizione e l’implementazione del processo di governo dei rischi. Le fasi da prevedere sono rappresentate nella figura seguente.
Nella pratica, la Partecipazione Pubblica nella gestione dei rischi richiede che stakeholder e pubblici vengano effettivamente coinvolti in tutte le fasi del processo, inclusa la definizione del problema da affrontare. Questo significa che scienziati, funzionari pubblici, stakeholder, comunità e individui devono comunicare e confrontarsi su base continuativa al fine di: ridurre l’esposizione ai rischi in modo efficiente, efficace ed equo; costruire fiducia; risolvere i conflitti.
Dalla teoria alla pratica
La Partecipazione Pubblica nella gestione dei rischi per la salute legata all’ambiente vanta quattro decenni di esperienza.
Fino all’inizio degli anni ottanta, le udienze pubbliche erano ritenute sufficienti perché le persone interessate da una decisione potessero esprimersi. Tuttavia, l’insoddisfazione più volte espressa dai pubblici su sessioni ritenute prive di sostanza, e la loro richiesta sempre più pressante di influire sulle decisioni, ha aperto la strada per processi più strutturati di Partecipazione Pubblica.
Gli anni ’90 hanno portato una nuova enfasi al coinvolgimento collaborativo di residenti locali, esperti, gruppi di parti interessate, funzionari e scienziati, in quanto era diventato chiaro che ciascuna parte coinvolta nel dialogo portava specifiche istanze epistemologiche che, se fusa insieme, poteva produrre decisioni migliori (Opcit Thomas Webler, Seth Tuler).
Il percorso precedente alla presidenza di Trump non è stato privo di problemi. Tradurre anche i migliori principi e metodi nella pratica non è senz’altro semplice per numerosi motivi, ne segnaliamo soltanto due:
- se cambia il contesto politico e/o le parti coinvolte non sono tutte orientate alla comprensione e alla ricerca del bene comune e/o non dimostrano attitudini all’analisi e alla deliberazione, tutti gli sforzi del mondo per progettare un processo appropriato al contesto sono sprecati. I partecipanti devono essere disposti ad ascoltare ed a imparare l’uno dall’altro. Nessun partecipante deve difendere i suoi interessi privati;
- la gestione dei rischi è un processo complesso e lo si inserisce in un processo altrettanto complesso di partecipazione pubblica. Chi è esperto di partecipazione pubblica si sofferma spesso soprattutto sul secondo processo. In questa sede, si propone di aprire una finestra sul primo in relazione al secondo.
La gestione dei rischi è un processo complesso specialmente nelle fasi di Identificazione e di Misurazione/Valutazione dei rischi. Identificazione e Misurazione fanno parte di quello che viene chiamato Risk Assessment.
- Identificazione dei rischi
Le problematiche ambientali sono complesse e dinamiche, pertanto è abbastanza difficile definire una tassonomia standard alla quale un gran numero di iniziative o progetti possano far riferimento. Le categorie di rischio possono cambiare a seconda della problematica, del contesto di riferimento e, in ogni caso ,la tassonomia deve essere abbastanza flessibile da poterla adeguare ogni qualvolta ci siano cambiamenti rilevanti.
Anche potendo utilizzare tassonomie più o meno diffuse oppure definite in progetti simili, questa fase deve essere indirizzata, specialmente nel momento in cui occorre scomporre le macro categorie di rischio (ad esempio, ambientali, per la salute, sicurezza, sociali, economici, culturali, di governo) in sotto categorie che siano coerenti con il contesto e comprensibili per i pubblici. Scienziati, risk manager, funzionari pubblici, stakeholder, cittadini o gruppi di cittadini devono riuscire a definire un linguaggio comune:
- Gli scienziati devono sforzarsi di spiegare ai pubblici ma anche ai risk manager [1] e a chi prende o indirizza le decisioni politiche i rischi che chiameremo tecnici (ambientali, per la salute, ecc.)
- I pubblici devono fare lo sforzo di comprendere e, quindi, necessitano di essere formati e/ o ricevere supporto tecnico indipendente sia sulle tematiche scientifiche sia sulle metodologie di identificazione dei rischi.
- I risk manager devono essere formati per poter supportare i pubblici sia per la comprensione dei rischi tecnici sia per l’identificazione dei rischi consequenziali (sociali, culturali, economici, ecc.).
Gli scienziati non sono sempre stati ben disposti a comunicare in un linguaggio il più possibile comprensibile, perché non credevano che i pubblici potessero mai arrivare a comprendere le problematiche esposte. Dall’altra parte, anche i pubblici avevano la tendenza a non voler fare lo sforzo di ascoltare. Tuttavia, alcuni scienziati hanno imparato a parlare senza usare il gergo tecnico, e hanno coltivato un genuino interesse nell’ascoltare le preoccupazioni del pubblico arrivando anche a rivedere le assunzioni iniziali.
L’ascolto è stato facilitato dall’utilizzo di svariate metodologie e tecniche di coinvolgimento (tra cui giochi e simulazioni)[2], le quali permettevamo ai pubblici di fornire i tratti distintivi del luogo fisico e sociale nonché di comprendere i molteplici processi di interazione rilevanti per caratterizzare i rischi.
- Misurazione/ Valutazione dei rischi
In funzione della tipologia di rischi occorre definire le modalità di misurazione/valutazione dei rischi dei rischi inerenti e residui[3]. Alcuni rischi, normalmente quelli tecnici, sono quantificabili, quelli consequenziali (sociali, economici, ecc.) richiedono una valutazione per lo più qualitativa o quali-quantitativa. Questa fase pone un certo numero di problemi in ottica partecipativa, tra i quali:
- Le metodologie di valutazione quantitativa sono necessariamente complesse. Inoltre, la misurazione deve essere effettuata con il supporto di modelli informatizzati. Per questi motivi, potrebbe sembrare impossibile coinvolgere pubblici non esperti.
- Le metodologie di valutazione qualitativa possono essere poco “oggettive”. Infatti, un rischio valutato alto, medio o basso può essere facilmente messo in discussione.
- Gli esiti della misurazione dei rischi inerenti possono essere difficili da interpretare rendendo, quindi, impegnativa la valutazione e/o identificazione delle azioni di mitigazione da parte dei pubblici.
Trattandosi di limiti oggettivi, è lecito chiedersi se è opportuno coinvolgere pubblici “non qualificati”. Questa fase richiede sicuramente sforzi significativi, tuttavia è essenziale per garantire l’effettiva partecipazione dei pubblici ai processi decisionali (ad esempio, scelta tecnologie, territori, ecc.). Nel corso del tempo negli ultimi decenni sono stati sviluppati e messi in pratica numerosi metodi e tecniche[4], tuttavia alcune regole sono valide in qualsiasi contesto:
- I modelli di valutazione e relative assunzioni devono essere il frutto dello sforzo degli specialisti di integrare gli elementi di rilevanza pubblica.
- Le assunzioni alla base della scelta delle metodologie e dei modelli informatizzati a supporto devono essere documentate in modo chiaro e trasparente, evidenziando limiti e vincoli.
- Nella definizione delle assunzioni occorre coinvolgere gli esperti indipendenti che supportano i pubblici.
- L’esistenza e la disponibilità di dati corretti ed affidabili sono indispensabili per garantire un processo di valutazione attendibile. Le metodologie di analisi della qualità dei dati, le carenze emerse e il piano di acquisizione o di rimedio devono essere comunicate in modo trasparente agli esperti ed ai pubblici.
- Le tempistiche devono includere un numero minimo di repliche necessarie per arrivare ad una visione condivisa.
Nella fase squisitamente decisionale, qualora, per motivi di riservatezza, non sia possibile coinvolgere tutti i pubblici è importante prevedere anche una partecipazione ridotta, limitata ad esempio ad alcuni cittadini che possano verificare che i criteri condivisi nella fase precedente siano stati effettivamente utilizzati[5].
Opportunità di applicazione di processi decisionali basati sul rischio in Italia
L’analisi della esperienza statunitense è stata motivata dall’attuale consultazione pubblica sul deposito nazionale dei rifiuti radioattivi nonché dalla situazione dei numerosi territori che «ospitano» e continueranno ad ospitare per molti anni aree di stoccaggio temporanee.
Senza entrare nel merito delle modalità della consultazione in corso, l’obiettivo del presente paragrafo è fornire degli spunti di riflessione sull’opportunità di promuovere l’approccio statunitense nell’ambito di una tematica che potrebbe soltanto trarre benefici dai contributi dei pubblici[6].
Il tema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi fa scattare quasi automaticamente la sindrome Nimby. Nonostante il Deposito Nazionale sia una necessità nonché un obbligo normativo da rispettare entro certe scadenze, quindi apparentemente poco negoziabile, un processo di partecipazione pubblica effettiva dovrebbe contribuire a facilitare la creazione di consenso.
Premesso che tale percorso può essere avviato soltanto se le autorità pubbliche coinvolte sono convinte che le decisioni siano negoziabili, altrimenti non è il caso di fare perdere tempo ai pubblici, si ritiene che sia possibile introdurre un processo decisionale basato sul rischio anche per istituzioni e pubblici alle prime armi. Non avendo a disposizione il saper fare, le metodologie e le tecniche sviluppate negli Stati Uniti, è concepibile utilizzare approcci semplificati, da migliorare nel corso del tempo. L’esperienza statunitense, in particolare nel DOE, insegna che le progettualità di lungo periodo permettono sia alle istituzioni sia ai pubblici di acquisire consapevolezza, metodi e tecniche in modo progressivo, incrementando le possibilità di successo.
Quale valore aggiunto porterebbe l’avvio di un percorso, anche semplificato?
Il coinvolgimento dei pubblici nella gestione dei rischi, attraverso workshop guidati, utilizzando strumenti quali la gamification[7] oppure l’analisi di scenari di rischio:
- Favorirebbe nel corso del tempo la creazione di un linguaggio comune a tutti gli attori coinvolti.
- I pubblici sarebbero invitati a ragionare sui rischi, focalizzando l’attenzione su quelli maggiormente rilevanti e a fornire informazioni socio-culturali agli specialisti. Questi sforzi contribuirebbero a eliminare o ad attenuare pregiudizi e preconcetti derivanti non tanto dall’esperienza ma dalla paura o dal “sentito dire”. Tuttavia, occorre sottolineare che questo potrebbe avvenire, se e soltanto se tali contributi fossero effettivamente presi in considerazione dagli esperti.
- Anche nel caso non ci fosse un vero e proprio coinvolgimento di tutti i pubblici nelle sessioni di deliberazione, lo sforzo degli specialisti di comunicare, comprendere ed acquisire le informazioni e le intuizioni dei pubblici, accrescerebbe la fiducia nelle istituzioni delle popolazioni impattate.
- Il dialogo fornirebbe agli specialisti delle informazioni che stimolerebbero la ricerca scientifica nell’identificazione di risposte ai fini della mitigazione e/o l’eliminazione di rischi che non erano stati considerati con sufficiente profondità.
In fase di identificazione dei rischi, i pubblici esprimerebbero le loro preoccupazioni e queste potrebbero contribuire a definire la tassonomia di rischi da valutare, ad esempio:
- i rischi per la salute delle persone se il sito è vicino a centri abitati;
- il rischio e/o pericolosità geomorfologica dell’area identificata;
- il rischio di esondazioni del fiume vicino;
- il rischio di attentati;
- il rischio di contaminazione delle acque dovute ad attività illecite;
- i rischi ai quali si espongono le aree naturali protette;
- i rischi di incidenti ai quali sono esposte le attività industriali, dighe, aeroporti, ecc., vicini al sito;
- i rischi consequenziali sulle attività industriali, sui servizi, sul turismo dovuti alla presenza del sito;
- i rischi di spopolamento dei centri abitati.
Ciascuna tipologia dovrebbe essere considerata, analizzata e descritta facendo emergere le interrelazioni.
In fase di valutazione dei rischi, ciascuna categoria e sottocategoria dovrebbe portare a determinare, in un linguaggio comprensibile ai pubblici, qual è il livello di esposizione ai rischi inerenti identificati.
Su questa base, gli specialisti dovrebbero identificare e comunicare quali rischi possono essere eliminati e come, e quali possono essere mitigati e come, recuperando anche le azioni di mitigazione proposte dai pubblici.
In questo percorso è possibile che emerga una carenza di dati per poter fornire risposte adeguate. In questo caso, occorrerebbe ripianificare le scadenze per recuperare l’informazione necessaria a dare risposte.
Conclusa la fase di valutazione sarebbe possibile procedere con la fase decisionale, ossia decidere quali rischi eliminare e quali accettare, concordando per questi ultimi le opportune azioni di mitigazione.
I pubblici dovrebbero successivamente essere informati e coinvolti nel monitoraggio del progetto di implementazione, quindi di attuazione effettiva delle misure di mitigazione, prevedendo processi di identificazione e valutazione dei rischi periodici.
I costi sono giustificati dai benefici attesi?
Un processo decisionale basato sul rischio richiede la costituzione di un modello organizzativo che preveda principalmente: il disegno dei processi e degli strumenti di partecipazione; il coinvolgimento di esperti e facilitatori, la formazione di risk manager e incentivi per incoraggiare i pubblici a partecipare. Chi è contrario alla democrazia partecipativa può obiettare che tutto ciò si traduce in tempi più lunghi e costi più elevati, senza nessuna garanzia di successo. Si può rispondere agli scettici o ai critici, come segue:
- Tempi più lunghi nella fase di preparazione di un progetto, necessari in ogni caso per identificare e gestire i rischi, possono potenzialmente ridurre i tempi di implementazione, nella misura in cui la prevenzione riduce gli incidenti di percorso e permette di attivare le azioni di rimedio in modo tempestivo.
- I costi sono soltanto apparentemente più elevati per svariati motivi. Basta pensare che il verificarsi di un rischio, in assenza di misure preventive e di piani di contingenza, determina costi sociali enormi e che l’attuazione di azioni di rimedio possono essere ancora più costose. Una chiara e estesa consapevolezza dei rischi garantisce la collaborazione tra istituzioni e pubblici nella prevenzione, riducendo la probabilità che alcuni eventi rischio si verifichino.
- Il successo del processo non è mai garantito, soprattutto in assenza di regole e procedure chiare e condivise. Lo è ancora di meno il successo del progetto/attività se non vengono presi in considerazione tutti i rischi ai quali è potenzialmente esposto e non vengono gestiti in modo tempestivo.
Conclusioni
I processi decisionali basati sui rischi sono complessi e si inseriscono in un processo altrettanto complesso di partecipazione pubblica. Tuttavia, la gestione dei rischi è necessaria in qualsiasi progettualità o attività che impatti su un territorio e non può limitarsi a considerare i rischi squisitamente tecnici. La partecipazione pubblica può soltanto arricchire i processi decisionali con punti di vista diversi, tenendo sempre presente che si tratta di un processo di apprendimento progressivo.
Note
[1] I risk manager disegnano e sviluppano le metodologie ma non sono necessariamente esperti in tutte le materie e, in ogni caso, non sono scienziati.
[2] Metodi e tecniche devono essere scelti con cura tenendo conto che non è consigliabile far riferimento a buone pratiche. Una buona scelta deriva dalla capacità dei facilitatori di comprendere le specificità del contesto e dei pubblici.
[3] Il rischio inerente à quello assunto quando non si attiva alcun intervento di risposta al rischio. Il rischio residuo à quello che rimane dopo aver attivato una risposta.
[4] Si rinvia agli studi di caso per approfondimenti. Nello studio di Thomas Webler, Seth Tuler vengono citati numerosi casi di successo.
[5] Questo approccio è stato utilizzato nel programma statunitense per distruggere le proprie armi chimiche nella fase di valutazione e di classificazione delle alternative all’incenerimento. Opcit Thomas Webler, Seth Tuler, pag.28
[6] Il contesto potrebbe potenzialmente essere favorevole tenendo conto che il nuovo Ministro della transizione ecologica, nella Conferenza Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, ha dichiarato:” … ma dobbiamo cominciare a guardare al futuro con un’ottica di prevenzione”, proponendo di fare il ‘risk assessment’, “l’analisi del rischio di tutto quello che facciamo e produciamo, delle nuove tecnologie”.
[7] ossia l’utilizzo di dinamiche proprie del gioco in contesti non ludici. Si rinvia all’esperienza Seinonda.
Bibliografia (on line)
Esperienza Seinonda della Regione Emilia Romagna
Studi di caso
Nel seguente link, si possono trovare numerosi studi di caso, accessibili on line: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/25032414/
Alcuni esempi:
- Regulatory requirements and tools for environmental assessment of hazardous wastes: understanding tribal and stakeholder concerns using Department of Energy sites. Burger J, Powers C, Gochfeld M.J Environ Manage. 2010 Dec;91(12):2707-16. doi: 10.1016/j.jenvman.2010.07.028. Epub 2010 Aug 16.PMID: 20719428 Free PMC article.
- White paper on the promotion of an integrated risk assessment concept in European regulatory frameworks for chemicals.Wilks MF, Roth N, Aicher L, Faust M, Papadaki P, Marchis A, Calliera M, Ginebreda A, Andres S, Kühne R, Schüürmann G; HEROIC consortium.Sci Total Environ. 2015 Jul 15;521-522:211-8. doi: 10.1016/j.scitotenv.2015.03.065. Epub 2015 Apr 1.PMID: 25841074Acute Exposure Guideline Levels for Selected Airborne Chemicals: Volume 14.
- Committee on Acute Exposure Guideline Levels; Committee on Toxicology; Board on Environmental Studies and Toxicology; Division on Earth and Life Studies; National Research Council.Washington (DC): National Academies Press (US); 2013 Apr 26.PMID: 24851298 Free Books & Documents. Review.
- Developmental toxicity risk assessment: consensus building, hypothesis formulation, and focused research. Kimmel CA.Drug Metab Rev. 1996 Feb-May;28(1-2):85-103. doi: 10.3109/03602539608993993.PMID: 8744591 Review.
- Chemicals of emerging concern in the Great Lakes Basin: an analysis of environmental exposures, Klecka G, Persoon C, Currie. 2010;207:1-93. doi: 10.1007/978-1-4419-6406-9_1.PMID: 20652664 Review
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